29/12/08

ART SHAKE II - TERMOLI - visual art

ART SHAKE II - ARTISTI IN MOSTRA
(dal catalogo):


108

Forme nere catturano chi le osserva nell’inquietudine di ciò che resta misterioso e non si svela, ma crescendo, informe, ha in sè tutte le forme dell’immaginario e fa a brandelli ogni tentativo di identificazione, di attribuzione di una forma precostruita, di se
nso finito.
Sagome nere che emergono dall’ inconscio si aggrappano ai muri delle città, si spandono sulle tele affascinando con la carica enigmatica e carismatica di un mistero arcaico di cui sono segni, prodotti dall’io non condizionato dalla parte cosciente, dalla ratio.
108, il nome dell’artista, è un numero intriso di simbologia mistico-esoterica, che libera le pulsioni svincolandole da ogni capitalizzazione, globalizzazione, condizionamento del pensiero e della creatività, del sentire e della comunicazione. L’informe è l’essere in potenza, l’essenza oltre la forma, oltre ogni convenzione, che sfugge alla manipolazione della “polizia segreta del subconscio”. E’ potenza non controllata e perciò occulta, che si riallaccia a neolitiche credenze per ritrovare gli antichi legami con le entità impalpbili, unica catarsi di un mondo che idolatra il materiale e capitalizza e violenta il proprio lato spirituale.

(Emanuela De Notariis)


Silvia Argiolas

Dentro favole dipinte, ragazzine sognanti hanno echi di incubo tra i capelli e tra le braccia rami d’inquietudine. Abitano foreste e boschi, che allungano artigli a protezione e i cui colori si sfumano a formare esseri morbidi e trasparenti, pronti a offrire dolcezza. L'apparenza però non dà certezza che non ci siano violenza e dolore, nè che la trasparenza non sia in(d)izio di una morte.
Il ballo sull’età sospesa in eterna fanciullezza, da leggiadro diventa allora insostenibile, romantica struggenza di malinconica non appartenenza a questa realtà, sempre sul punto di incombere sui luoghi fabulistici dell’artista, con meravigliosa inquietudine.
(Emanuela De Notariis)


Franco Brambilla

La science fiction invade scenari retrò, con ufo atterrati in paesaggi (terrestri) da cartoline vecchio stile, quelle che spesso giacciono nei cassetti delle case dei nonni. L’artista vi inserisce alieni impegnati nelle più svariate attività, sullo sfondo di amene località montane o marittime, o mentre con la naturalezza di un qualsiasi turista abituale siedono nella hall di un hotel, inscenando uno spaccato di vita di un possibile futuro con incontri di diplomatici interplanetari, in contrasto con gli arredi dell’albergo anni ’60: anni d’oro per gli appassionati di retrofuturo.
L’ironia è il trait d’union di ogni opera e forma una sottile membrana che congiunge reale e immaginario, giocando sul paradosso tra assurdo e consuetudine stereotipata: quella, appunto, da cartolina. Aggiungendo un gusto per il vintage e l’immaginario da b-movies, fornito di tutti gli strumenti del futuro visto dal passato, nel presente.
Tutti con gli occhi al cielo, aspettiamo allora di veder luccicare tentacoli tirati a lucido, nella piazza panoramica del paese dei nonni.
(Emanuela De Notariis)


Gabriella Ciancimino

“If iu fil homsik, tink in dailect”: la frase inglese per dire “se hai nostalgia di casa, pensa in dialetto”, scritta così come si pronuncia in Italiano appartiene al modo ironico e giocoso dell’artista di riflettere sulle identità e le diversità culturali e sui linguaggi, soprattutto giovanili. Li considera dalla prospettiva di un Sud carico di tutte le varie proiezioni socio-culturali e di una dimensione nostalgica di chi vi ha le radici, ma abita la contemporaneità altrove, da globetrotter culturale.
Rosso girandola, bianco fazzoletto, verde piante: è l’Italia dei paesi a vocazione rurale, luoghi di radici e affetti lasciati, l’Italia riconoscibile dai panorami che scaldano il cuore e i ricordi.

Lo spettatore, che non si aspetta la proprosizione di “videoquotidianeità” in uno spazio d’arte, nel disorientamento delle proprie aspettative può prendere parte a quella nostalgia e “think in dialect”, pensare alla propria identità culturale, la propria casa intesa come radici, in dialetto, per un momento.
(Emanuela De Notariis)


Luigi Copello



I gatti come uomini e donne, musicisti, punk, ribelli e disadattati, geniali, sensuali e sfuggenti come felini indomabili, il cui intero essere suggerisce la custodia di un mistero, inafferrabile se non con i sensi, per un attimo. Quell’attimo in cui l'animale e l'umano si fondono in atti familiari, comprensibili, eppure lontani. L'attimo in cui ci riconosciamo nell'animale, poi ne riprendiamo le distanze, miagolando.
Negli acquerelli di Luigi Copello lo sguardo felino ci incanta, vi ritroviamo un’essenza comune nell’essere portatore di sensibilità, malinconia e potenziale violenza. Le sue pupille a spillo, dipinte, diventano luogo di introspezione.
Il gatto per l’artista compie gesti umani, sottostà ad una codificazione “antropocomportamentale” e se da un lato incarna un’idea di dolcezza, dall’altro è indomita fiera potenzialmente graffiante.
E noi ci scopriamo predatori, seduttori, desiderosi di maschere feline dalla sensualità elettrica (citando Baudelaire).
(Emanuela De Notariis)


Tommaso Gorla

Tra alberi scheletrici e paesaggi desolati o latori di sciagura, si muovono uomini-cervo, animali o altri ibridi tra umano, vegetale e animale, a volte pezzi riassemblati dell’uno e dell’altro.
Li accomuna una certa violenza alla "bande di giovani di periferia".
L’artista incide preziosamente su fogli una genesi di mondi fatti di pulsioni e suggestioni, in cui disegni e titoli concentrano il senso di tutto sul gesto e sull’azione, senza narrazione.
La natura si fonde alle creature fatte di leggerezza e fragilità, costruite con una poesia che aleggia su luoghi intrisi di malinconia.
La violenza rende uomo e animale simili ad esseri fantasiosi, deformi, inquietanti e forse sofferenti. Tutti vecchi come le foreste, giovani come i cuccioli indomiti. Personaggi di un’ umanità ibrida e senza tempo, in cui gli alberi, emissari tra cielo e terra, sopravvivono alle umane vicende e sono elementi fondamentali di un ciclo vitale in cui non c’è finale assoluzione dall’insensatezza dell’esistenza. Non resta che far piovere bastoni sulla tracotanza dell’uomo, nell’assenza di un’omerica punizione divina.
(Emanuela De Notariis)


Silvia Idili



Umano e animale hanno una comune essenza nell'inquietudine che abita spazi incerti, senza luoghi, fatti di buio. O con un interruttore della luce a suggerirvi possibili realtà visibili dietro un mistero: l’arcano intuibile e inafferrabile del destino che accomuna esseri umani e animali, colti dall’artista in un gioco delle parti fatto di gesti sopesi.
Negli oscuri luoghi dipinti tracce di quotidianeità suggeriscono presenze, tramite oggetti riconoscibili persi in un tempo lontano di aritsocratiche bisnonne, in confronto a cui si ha l’impressione di giungere in ritardo.
L'animale antropomorfo distorce l'esclusività del relazionarsi, della malinconia, del sentire. La comune appartenenza è esperita dall’uomo acefalo che assume testa di bestiola e risiede in quegli spazi indefiniti e oscuri, dove tutto è accaduto e sta per succedere e la ragione cede spazio al sentire.

(Emanuela De Notariis)


Kafre

Studia la simbolizzazione dei contrasti spirituali e della pretesa di illustrare e definire la totalità, senza cadere nell’errore della rappresentazione, illusione e tradimento. La realtà infatti eccede sempre la nostra capacità di analisi concettuale.
Nel lavoro di Kafre confluiscono i suoi studi dell’arte e della mistica medioevali, delle illustrazioni alchemiche e dei bestiari e di ogni arte che indaghi il processo di conoscenza, fin dall’antichità.
La consapevolezza dell’impossibilità della conoscenza assoluta e della salvezza nel Divino sono la maledizione dello gnostico, la dannazione di un’esistenza che porta il marchio dell’abbandono, dello scisma tra l’uomo e i Misteri del cosmo. La ciclicità, il dualismo e l’eterno ritorno, l’Uroboro associato alla continuità del tempo, al divino e al terreno, luce e lama, il conflitto con la storia e il tentativo di dare corpo e aspetto alle proprie ossessioni, sono la base di un’arte come rituale alla ricerca di un equilibrio. La creazione di un mondo di simboli serve per conoscere e orientarsi lucidamente nella “foresta di simboli” della realtà.
(Emanuela De Notariis)


Letizia Lomma

Anche gli oggetti hanno una propria storia, derivata dal loro uso. E’ una storia destinata alla fine nel momento in cui l’oggetto si deteriora, si rompe e diventa inutile.
Così copertoni e camere d’aria di bicicletta, se con la valvola rotta, sono inesorabilmente destinati all’eliminazione. L’artista li ha invece recuperati, utilizzati in una performance, danzandovi; danzando attorno a ciò che erano, prima di riplasmarne la storia e renderli altro: un toro, uno stimolo all’immaginazione.
E’ così che tali oggetti strappati alla morte trovano nuova vita nell’arte e la loro storia, il loro senso incastrato nelle valvole rotte, strumento di incamerazione e protezione dell’aria, diventano metafora del filtro dell’umano esperire e sentire il mondo.
Tra le mani dell’artista, le cose inerti e inutili prendono la forma dell’immaginario, dopo una danza rituale di passaggio da una vita all’altra.
E il filtro tra il mondo esterno, l’immaginazione e i sentimenti che strutturano il comunicare è una valvola immaginaria, che trova una dimensione poetica in ogni oggetto inutile e vecchio del quotidiano.

(Emanuela De Notariis)


Lusesita

La fragilità della ceramica è la delicatezza di creature sottoposte ad una metamorfosi, operata dall’immaginario dell’artista, chirurga di bambole e navigatrice del tempo, degustatrice di biscottini al veleno fatti con tessuto di cuore. Cuocere (la ceramica), cucire (i corpi di molte sculture), generare (tutto un mondo d’arte): attività attribuite al femminile, che entrano in un mixer in cui, senza distinzione di genere, si amalgamano sogni ad occhi aperti e desideri spezzati, ali fragili e inutilizzabili, armature a protezione di sensibilità di donna, che delle proprie lacrime fa ornamento di sé.
Collage da riviste retrò anni 50, illustrazione ottocentesca ed esseri amorfi con casco da astronauta, o forse palombari, formano poesie di ceramica partorite dall’artista perché cantino di ferite ricucite, desideri che mantengono vivi, baci rinchiusi nello scrigno intarsiato del suo cuore, di cui ogni opera è un pezzetto, offerto a tutti noi. Da maneggiare con cura, accarezzandolo con gli occhi.
(Emanuela De Notariis)

Español

La fragilidad de la cerámica es la delicadeza de las criaturas metamorfoseándose de Lusesita,
cirujana de muñecas y navegadora en el tiempo,
Degustadora de galletas al veneno
hechas de tejidos de corazón.
Cocer la cerámica, coser los cuerpos de muchas esculturas, generar todo un mundo de arte: actividades atribuidas a lo femenino, que entran en una mezcla donde,sin distinción de genero se juntan sueños con los ojos abiertos y deseos rotos, frágiles alas, inutilizables armaduras protecciones se sensibilidad de mujer que lleva sus propias lágrimas como joyas.
Collages de revistas retro de los años 50, ilustraciones del siglo XIX y seres amorfos con cascos de astronautas o quizá buceadores forman poesías de cerámica paridas por la artista, para que se canten sobre heridas recosidas, deseos que siguen vivos, besos encerrados en el cofre tallado de su corazón, cada uno un trocito ofrecido a todos nosotros.
Para ser manejado con cuidado acariciándolo con los ojos.


Nicola Macolino

Una campana per statue di Santi e una donna sanguinaria nel cui ventre cresce bramosia di potere, che col suo seno nutre crudeltà, intralciano lo spaziare dello sguardo all’interno della galleria d’arte. Interagendo con l’osservatore, rompono la distanza che egli pone tra sé e le opere.
Macolino è regista e scenografo teatrale, artista visivo, poeta del visuale e officiante di rituali che in teatro sono un tripudio per gli occhi avidi di sensazioni forti e per le menti che si concedono ad una caduta libera nel vortice di una fascinazione fisica e mentale, capace di annullare ogni dimensione temporale.
In mostra sono presenti elementi tratti dai suoi spettacoli, tra cui protagonista è Lady Macbeth, dal recente “Il sonno di Macbeth”. Nella campana per Santi ella si erge statuaria come fredda lama di coltello, come spietata spada che ha lacerato molte carni. Durante l’inaugurazione, la Lady attrice si offre come scultura vivente. Non santa, ma sacra nella sua staticità totemica, è la sacerdotessa di un folle rituale di sangue e morte, nell’adorazione di un potere di cui lei, sterile madre, muore dalla sua condizione di donna. E dona un po’ della sua follia, un pezzo di sé ad ognuno di noi, con il suo corpo a ricordare che la bramosia di potere è una bestia pronta ad emergere dal ventre di ognuno di noi, logorando esistenze.
(Emanuela De Notariis)


Maicol & Mirco

Esseri amorfi in mondi fatti di protuberanze organiche mollicce irridono stereotipi e paure normalmente soggette a quotidiane esorcizzazioni. Dal fumetto alla tela, l’humour noir degli artisti gioca a palla con le budella del perbenismo e stacca a morsi le escrescenze virulente di ipocrisie socialmente accettate. Come teppistelli di periferia con le moto, da bulli ridicolizzano timori di morte e deformità. Deformi e destinati ad essere disillusi, i loro personaggi si lasciano andare ad una spensieratezza nichilista, mentre giocosi si impenano nella gestione dei loro mondi di organismi autoriproducentesi.
E rimaniamo tutti soli con le nostre consapevolezze addormentate tra le viscere dell’esistenza.

(Emanuela De Notariis)


Pietro Mancini



Nell’oscurità luci al posto di candele disegnano su icone di metallo, dal volto di chi è nel limbo tra due età e due condizioni, nella zona liminale che confonde bambino e uomo e separa l’innocenza dalla disillusione.
La contemporaneità ha simboli arcani accanto a nuove icone, nuove aspirazioni che orientano desideri e costumi e il viaggio nell’ascolto della Bellezza è tentativo di mantenere in sé il fuoco sacro di purezza che un canto di cicale può mantenere vivo.
Nel sacrario di reliquie del viaggio tra due età, tra due essenze, tra i conflitti dell’esistere in balìa della società dei consumi, appariranno le odierne costruzioni dell’identità adolescenziale, che in un logo cerca sicurezza, nell’ambandono dell’ascolto delle cicale cerca forza.
Eppure, conservando una primigenia innocenza, sono il “memento pueri” che tutti siamo stati e conserviamo nella memoria. La sacra innocenza esposta in tutta la sua delicatezza dentro lo scafandro delle odierne costruzioni identitarie, è a rischio di profanazione in un ricamo di simboli naturalistici e contemporanei. Ognuno allora si svela come sacronauta, che attraversa galassie alla ricerca di sé, alla ricerca di redenzione per il proprio cuore somaro.

(Emanuela De Notariis)


Sergio Mora


Se la cipolla fosse una metafora dell’uomo, potremmo dire che il nucleo più interno della cipolla corrisponde al cuore umano. Ogni strato che lo ricopre può essere allora ciò che separa la sfera emozionale nella sua autenticità, intensità e fragilità, da ogni sovrastruttura, ogni paura, ogni condizionamento esterno. Praticamente da ogni codificazione del comportamento e dell’esternazione della propria emozionalità e del proprio pensiero.
I mondi dipinti di Sergio Mora hanno origine direttamente da quel centro di sensibilità incondizionata, che in quel nucleo/cuore conserva tutta la sua irruenza.
I cartoni animati americani anni ’50, l’estetica pin-up, i tatuaggi classici e la scena pop surrealista americana sono i riferimenti di quest’artista, che dipinge luna park abitati da esserini meravigliosi e terribili insidie, coniglietti sanguinari e personaggi di carrolliana memoria, che lui rapisce senza chiedere riscatto.
Il viaggio nei suoi colori-caramella è da affrontare muniti di siero antimostro e con il cuore fiammeggiante tra le mani.
(Emanuela De Notariis)


Peio Peev



Disegni e schizzi sono una raccolta di suggestioni e visioni, trasferite su carta con un’immediatezza che congela in un disegno l’attimo in cui il corpo cede e mostra la propria deformità. Ogni incontro, ogni persona, attori di un film, giocattoli o eroi dei fumetti sono dall’artista scorticati, indagati e mostrati sul foglio nel loro aspetto mostruoso, ridicolo, inquietante.
La deformità è l’interazione emozionale con l’altro, senza filtri.
Peio ricostruisce la realtà e i ricordi mescolando tratti somatici, situazioni, personaggi, sovrapponendo azioni e ruoli, che spiazza.
Offre un cosmorama del suo interfacciarsi col mondo, che ricostruisce secondo il proprio sguardo. Con il suo sguardo vediamo personaggi e situazioni in cui il tempo è sospeso, così come sono sospesi ogni giudizio e ogni interpretazione. Resta solo lo scorticamento di quella patina lucidante che nelll’odierno confondersi sempre maggiore di reale e virutale, rende tutto finzione.
Peio coglie ognuno nel momento di distrazione dal proprio ruolo e con un gesto rende la distrazione eterna.
(Emanuela De Notariis)


Poilacartabrucia - Clio

Verba volant…ma neanche scripta manent se la carta brucia, si deteriora.
Più del disegno, ciò che conta è l’intenzione che lo genera: l’opera è il risultato di un processo che attraverso il gesto del disegnare sancisce la trasformazione del pensiero in una forma tangibile. Il senso del lavoro dell’artista non è quindi nel prodotto finale, che reca in sé tracce visibili che comunicano all’altro il suo pensare, il suo sentire.
L’artista analizza la realtà radiografandola per smascherarne vulnerabilità e sentimenti e l’uomo, la città, la natura, azioni ed espressioni si fondono in un insieme organico in cui ogni elemento emerge agli occhi attenti, che avidi percorrono le linee del disegno.
La figurazione può essere concettuale ed è un segno che attraversa viscere di corpi e di città, che rende foglie, capelli e vesti le venature del corpo dell’artista, trasposto in quello dell’arte.

(Emanuela De Notariis)


Moira Ricci



Se il “the end” fosse stato tragico io sarei stata piú abituata a soffrire per le delusioni d'amore”. La tv, il cinema, parte della letteratura offrono visioni dell’amore a lieto fine, drammi di vita che attingono alla realtà per consolarci delle delusioni che sovente riserva.
Il lieto fine è l’illusione cinematografica che fornisce facili speranze di risoluzione positiva delle complicazioni sentimentali. Cosa sarebbe successo a Sandy di Grease, Holly di Colazione da Tiffany, Ariel del disneyano La Sirenetta se avessero perso per sempre i loro amati? Che a noi bambine non avrebbero proposto ulteriori storie a lieto fine che ci lasciano impreparate alle sofferenze della vita, sognando principi azzurri e trionfi di amori imperituri. La vendetta è allora cambiare i finali dei film, rimontarne le immagini e far soffrire anche loro, le Sandy e le Holly, le donne dell’happy end come il Tempo delle Mele o Top Gun e tanti altri film culto, con lieto fine da lacrime e pop corn.
Nella vita reale però i pop corn sono spesso salati di lacrime e, operare una finzione nella finzione per recuperare un senso di realtà contro la proposizione di sdolcinati e illusori modelli di massa, è tanto ironico, quanto drammatico. Un gioco apparentemente spensierato, che attinge a sentimenti profondi, in cui ogni donna sa riconoscersi.

(Emanuela De Notariis)


Giuliano Sale

L’innocenza cela una zona d'ombra che si vela e svela dentro sguardi malinconici e agghiaccianti.
Soggetti per lo più femminili danno idea di essere stati momentaneamente distolti da rituali che mai riveleranno. Si beffano di noi ciechi, che della quotidianeità non cogliamo la mostruosità, mentre il loro sguardo penetra profondamente nella realtà fino alle sue viscere, fino alla sua ineffabile essenza.
Per mano dell’artista, l’oscurità avvolge bambine che ne padroneggiano il mistero e possiedono chiavi di arcana sapienza, con cui celano il segreto accesso alla zona d’ombra dietro ogni apparenza.
O sono semplicemente adolescenti che lasciano intravedere il proprio lato oscuro, così potente quando l’identità è in transizione e il corpo sfugge al controllo della ratio.
Animali inconsueti le accompagnano nella scelta ambigua e reversibile tra violenza e dolcezza, rosso di bacche o di sangue, mentre maschere si alternano sui volti di vite qualsiasi. Il loro sguardo invita chi le osserva a ri/conoscersi nel loro mondo, in cui ogni elemento mostra il suo doppio e la sua deformità.
(Emanuela De Notariis)


Alessandra "Banana" Tisato



La fotografia come costruzione di altre realtà, immortala provocatorie pin-up postmoderne, anti-icone che irridono stereotipi femminili logorati dalla consuetudine.
L’ artista opera una confusione tra realtà e finzione, mescolando le categorie degli opposti tra bene e male e innocenza e perdizione, con ironia e sensualità. La bellezza diventa perturbante, svela desideri reconditi e rifiuta convenzioni e modelli costruiti sul corpo femminile da moralismi socioculturali, sovrapponendovi un immaginario visivo che rifiuta ogni conformismo massmediatico e piuttosto prende a modello subculture e controculture.
La geishe e la reginette del concorso di bellezza si caricano allora di ambiguità, diventano fonte di desiderio e di inquietudine, svelano un’insolita potenza di violenza, lasciando intuire un gusto per giochi che la morale comune e perbenista definirebbe sconvenienti. Scambiano e confondono ruoli e personalità, comprendono in sé il loro contrario e sbeffeggiano ogni tentativo di costrizione della sensualità, strizzando l’occhiolino all’osservatore, suggerendo la messa a nudo di desideri repressi.
La bellezza mercificata diventa carnefice di vittime senza possibilità di riscatto, dardi di inquietudine che scorticano il make-up sul volto della società.
(Emanuela De Notariis)


Cristina Urban

Agglomerati di cellule ricordano occhi ammassati entro ventri molli, rifugi per sguardi che hanno visto l’essenza drammatica dell’esistenza. Tutti insieme, pigiandosi, si scambiano energia. Creando protuberanze e tentacoli, moltiplicandosi, le cellule originano esseri spauriti, mostriciattoli informi di tenerezza e latente inquietudine.
Fatti di ombra a matita, hanno capacità di rubarti il cuore per coprire di cerotti ogni sua ferita e poi restituirtelo. Saltano fuori dalle ombre più nere nelle camerette dei bambini, quei regni dell’ignoto che spaventano con il mistero di ciò che non è razionalizzabile, visto con occhi ancora incapaci di sovrastrutturare la visione. Occhi che, riunendosi, formano cellule immaginarie per generare mondi i cui abitanti popolino la realtà di sentimenti senza corteccia.
(Emanuela De Notariis)


Nora Noah Wuytack

Un mondo delle Meraviglie in cui Alice è cresciuta, ma non troppo e saltella in mondi abitati da animali ibridi e coloratissimi, dalle sembianze allegre e bambinesche, ma velati di malinconia. A volte mostrano di avere una sorprendente ferocia trannenuta, eco delle reali leggi di natura, che l’uomo ha allontanato da sè con codificazioni socioculturali.
Il Bambi dell’artista si divertirebbe a giocare con lamette e rasoi affilati; le sue Alice, bambine come lei abitanti dei propri sogni, delle proprie visioni, così innocenti sembrano stringere un po’ troppo in mano i teneri coniglietti bianchi, spogli della propria autorità.
L’artista gioca con la sovrapposizione dei registri di dolcezza e violenza, dando vita a personaggi in ceramica, con aggiunte di materiali diversi come capelli o veletti, che strappano sorrisi e il cuore a colpi di tenerezza. Bambine vampire e principi porcospini con la coroncina preziosa sembrano estratti dai nostri sogni di bambini, proiezioni delle nostre memorie, delle nostre menti liberate da condizionamenti del quotidiano esistere e pensare. E tutte le poesie delle scuole elementari diventano filastrocche tridimensionali per bambini cresciuti, con idee come proiettili, non sempre caricati a salve.
(Emanuela De Notariis)


Nessun commento: